L'ORATORIA GRECA

L'Oratoria, cioè la facoltà  di parlare in pubblico per convincere, accusare o difendere, è tutta naturale: è nata con l'uomo. Già  troviamo esempi di questa nei poemi omerici dove vediamo i capi greci discutere e consigliare con arte provetta. Tuttavia per secoli essa non superò i limiti pratici poiché l'oratore, dopo aver ultimato il suo discorso, improvvisato o frutto di un lungo ragionamento, non si curava di rielaborarlo per fini artistici. Tra questi dobbiamo ascrivere, ad esempio, lo stesso Pericle, che ebbe fama di essere un superbo oratore, anzi fu il più elegante e suadente del suo tempo.
Verso la metà  del V secolo a.C. l'oratoria divenne genere letterario e ne furono fissate le norme che la regolavano. Occorre, però, sgombrare subito il campo da un possibile equivoco ricordando che spesso il termine oratoria viene usato come sinonimo di retorica ... d'altra parte è pur vero che sia il retore sia l'oratore usano la parola per convincere.
Con il tempo, però, si è affermato sempre di più il concetto espresso da Cicerone e cioè che l'oratore è solo colui che con la parola domina e convince, in pratica quello che parla in pubblico. Così il retore diventa colui che scrive secondo canoni precisi, un tecnico della parola intesa come scrittura e la retorica passò ad indicare le norme che regolano l'oratoria e, per estensione, la disciplina normativa dell'attività  letteraria.
In seguito il termine "retore" assunse addirittura un significato dispregiativo, fino ad indicare colui che, parlando o scrivendo, si compiace di frasi artefatte e ampollose.
È ovvio che la retorica nacque dall'osservazione di come in un discorso si venivano a conformare varie parti che nell'insieme si presentavano in un'armonia che piaceva e persuadeva e solo in un secondo momento tali dati furono proposti come norme da seguire per parlare bene. L'invenzione della retorica, comunque, dai Greci fu attribuita a Corace e Tisia. Infatti Cicerone, nel suo "Brutus", citando Aristotele, riferisce come l'eloquenza fosse nata in Sicilia, appunto ad opera di Corace e di Tisia. Seguaci di questi retori furono i Sofisti, i quali si vantavano di insegnare la saggezza e sapevano parlare in modo da avere sempre ragione in qualsiasi discussione; tra questi si annovera Gorgia da Lentini. Gli studi di retorica, ormai si era creata una vera scuola, trovarono il favore nelle città  libere e, quindi, soprattutto in Atene, poiché con il regime vigente in quella città  che favoriva i dibattiti e le discussioni nelle assemblee, il possesso dell'abilità  dialettica era l'unico mezzo per avere successo in politica. In Atene tutti potevano aspirare alle cariche politiche ed ovviamente chi meglio sapeva parlare andava avanti. Oltre che dalle circostanze politiche, l'oratoria fu favorita dalla pratica processuale: per un nonnulla si potevano intentare processi e, poiché non era permesso che gli "avvocati" parlassero al posto di accusati o accusatori, si formò una categoria di professionisti che scrivevano discorsi che i clienti imparavano a memoria o leggevano durante il dibattimento delle cause. Questi professionisti furono detti "logografi" (nel senso di "scrittori di discorsi") ed a seconda dei fini perseguiti, l'oratoria si distinse in epidittica (per le celebrazioni), politica e giudiziaria.
Il primo a scrivere orazioni giudiziarie fu l'oratore attico Antifonte, nato ad Atene verso il 480 a.C.. Egli fu probabilmente maestro dello storico Tucidide e scrisse le orazioni "Per il coreuta" e "La morte di Erode". Di lui ci restano 15 orazioni.
Secondo il retore Cecilio di Calatte i dieci migliori oratori attici furono: Antifonte, Andocide, Lisia, Isocrate, Iseo, Licurgo, Eschine, Demostene, Iperide e Dinarco.


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